23 Novembre 2021

DIGITAL MANAGEMENT – UN FUTURO DISTOPICO?

In un recente articolo, Simone Pieranni (“L’Espresso” – 28/03/21) ci racconta di come, in nome dell’innovazione digitale e della presunta efficienza che ne consegue, il governo cinese abbia incentivato la diffusione di tecnologie “intelligenti” nelle piccole e medie imprese del paese. 

Già dal 2013 è emersa chiaramente la volontà del governo Cinese di investire e sviluppare tecnologie di intelligenza artificiale in numerosi settori, come ben descritto dai ricercatori dell’università di Oxford nell’articolo “The Chinese Approach to Artificial Intelligence: An Analysis of Policy and Regulation”1 che analizza il quadro normativo che regola lo sviluppo e la diffusione di tali tecnologie.

E’ interessante analizzare il contesto Cinese poiché, negli ultimi decenni, è precursore delle innovazioni che successivamente giungono in occidente.

Due tra le svariate applicazioni dell’intelligenza artificiale nel mondo delle imprese meritano particolare attenzione per le implicazioni sui lavoratori sia in termini di depersonalizzazione e alienazione sia in termini di violazione della privacy e controllo pervasivo.

Intelligenza Artificiale al comando.

La prima è quella del cosiddetto “digital management”, ovvero l’uso di algoritmi e tecnologie che sostituiscono la figura del manager a vari livelli e che grazie alla propria “intelligenza” garantiscono all’alto management maggiore obiettività, efficienza e un’ottimizzazione dei costi (soprattuto quelli legati al costo dei middle-manager che la tecnologia di fatto sostituisce).

Dunque il compito del digital manager è quello di determinare la vita organizzativa dei dipendenti, gestendo i turni di lavoro e i relativi straordinari, ma anche assegnando obiettivi e giudicando il loro raggiungimento. In funzione di responsabile ha la possibilità e l’autorità (conferita dal management) di determinare bonus, aumenti di stipendio ma anche sanzioni ed eventuali licenziamenti. 

E’ semplice immaginare come ogni dipendente che segua le direttive di un sistema digitale e non di un responsabile in carne e ossa possa trovarsi in difficoltà sia sotto l’aspetto della comunicazione sia sotto quello organizzativo e relazionale. Non è pensabile rivolgersi a un bot per confidare una difficoltà personale nello svolgere un task o un obiettivo assegnato, così come non è scontato che il lavoratore percepisca l’utilità di un’attività assegnata asetticamente senza alcun riferimento a processi aziendali più ampio. Bisogna inoltre considerare le problematiche tecniche che possono insorgere con l’utilizzo di questa tecnologia, come il basare le analisi e i risultati su dati parziali o i semplici errori di programmazione. 

Tra le esperienze raccolte da Simone Pierrani è emblematica quella di un ingegnere che lavora a riporto di un digital manager che rivela: «A volte siamo costretti a fare gli straordinari quando non è necessario, al punto che anche quando non c’è niente da fare dobbiamo venire a lavorare nel fine settimana altrimenti subiamo una detrazione sullo stipendio».  




Sorveglianza intelligente 

L’altra applicazione dell’intelligenza artificiale nel mondo delle aziende e in rapporto alle risorse umane è quella del monitoraggio dei dati corporei dei dipendenti tramite sensori e rilevatori di vario genere. L’idea è quella di poter monitorare in tempo reale la salute delle persone, il loro livello di stress, lo stato d’animo e, in generale, il benessere psicofisico così da poter intraprendere azioni tempestive per il miglioramento dello stesso. 

I dati per poter svolgere questo genere di analisi possono essere ricavati tramite speciali cuscini, sedie o tramite telecamere e webcam. 

Anche supponendo che l’unico scopo delle aziende che adottano questa tecnologia sia quello di migliorare il benessere dei propri dipendenti risulta chiara la possibilità che i dipendenti stessi si sentano controllati e costantemente valutati su aspetti non legati al lavoro che svolgono. 

Per i lavoratori il sentirsi “osservati” (anche inconsciamente) genera meccanismi di facilitazione sociale, già analizzati da Triplett (1898) e ripresi poi da Zajonc (1980), in cui la semplice presenza, o presunta tale, di un osservatore facilita la prestazione in compiti semplici ma la ostacolava in compiti complessi. 

Inoltre non si può sottovalutare l’aspetto legato alla privacy delle persone sottoposte a monitoraggio, nonché l’uso che viene fatto dei dati raccolti che non possono e non devono servire per valutazioni e previsioni di carattere medico invece che strettamente professionale.

Per quanto ogni procedura che richiede l’acquisizione di dati personali o sensibili deve essere autorizzata da chi fornisce i propri dati, risulta evidente la difficoltà di esprimere un consenso libero quando non fornendolo si rischia di non ottenere un lavoro o perdere il proprio. 

Un futuro umano

E’ facile, estremizzando le situazioni sopra citate, prospettare un futuro distopico dove l’intelligenza artificiale diventerà l’entità che decide i nostri percorsi di carriera e scandisce le nostre giornate lavorative, che sacrifica l’individualità di ciascun lavoratore a vantaggio della massima razionale efficienza.

In generale, però, l’uso della tecnologia nei processi legati alle risorse umane, così come in ogni processo lavorativo o nella vita quotidiana, può rappresentare un vantaggio se utilizzata in maniera funzionale, tale da mettere in risalto le caratteristiche individuali delle persone su cui agisce. Non possiamo di certo dimenticare gli innumerevoli miglioramenti della qualità della vita e del lavoro che solo grazie all’avanzamento tecnologico abbiamo potuto avere, ma è evidente che ogni innovazione tecnologica può essere positiva o meno in funzione dello scopo e dell’utilizzo che ne viene fatto. 

Dato che la diffusione delle applicazioni dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro è già in corso in Europa e in Italia e che nei prossimi anni crescerà in maniera significativa spetterà agli attuali manager e direttori d’azienda coglierne le potenzialità cercando di minimizzarne le criticità. 

In fondo non possiamo permettere che in nome dell’efficienza e dell’oggettività priviamo il lavoro delle migliori caratteristiche che abbiamo: autonomia, iniziativa, creatività, capacità di instaurare relazioni, dedizione, spirito di sacrificio, empatia… che rappresentano molto spesso il reale valore aggiunto di ogni lavoratore, senza le quali potrebbe altrimenti essere sostituito da un robot. 

 1 Roberts, Huw and Cowls, Josh and Morley, Jessica and Taddeo, Mariarosaria and Wang, Vincent and Floridi, Luciano, The Chinese Approach to Artificial Intelligence: An Analysis of Policy and Regulation (October 14, 2019). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3469783 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3469783

Simone Di Grazia

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